Diversity and Inclusion
Incontriamo oggi Alba, giovane professionista che ha deciso di concentrarsi sull’implementazione della diversità e dell’inclusione presso enti pubblici e privati, e che lavora come attivista per la valorizzazione della diversità sociale e l’aumento dell’inclusione.
Ciao Alba, come spieghi la tua professione in poche righe?
Ciao! È difficile riassumere in poche righe la complessità del mio lavoro, ma ci provo! Sono una libera professionista che si occupa di diversità e inclusione, e sviluppo locale. Sono laureata in Studi di Genere a Parigi e ho conseguito due master di specializzazione in Management delle reti di sviluppo locale e Rigenerazione urbana e innovazione sociale, presso gli atenei di Padova (Unipd) e Venezia (IUAV). Copro incarichi di docenza, project management, ricerca universitaria e aziendale, faccio audit e consulenze mirate sui miei temi di competenza in azienda, mi occupo di conciliazione vita-lavoro e di prevenzione delle discriminazioni di genere e della tutela delle minoranze.
Opero fondamentalmente in tre ambiti: ricerca, sensibilizzazione e formazione; analisi dati, audit e progettazione; creazione di contenuti e mediazione interculturale. Sono anche presidente della associazione Rigeneri che si occupa di spazio urbano inclusivo e urbanistica di genere. Come attivista e volontaria, dedico una parte delle mie competenze pro-bono alla sensibilizzazione dei giovani e delle giovani nelle scuole medie e superiori, educando al rispetto delle donne e delle minoranze.
Quando hai iniziato ad interessarti alle questioni di genere e diversità?
Ricordo col sorriso che da piccola avevo riscritto la storia di Ulisse con le desinenze al femminile, e che mia madre era stata convocata perché non avevo ottemperato all’esercizio. Ero stufa di tutti gli esempi di eroe maschio, cercavo dei riferimenti in un mondo tutto al maschile – da Dio all’uso del maschile per il generico. In maniera embrionale, già mi saltava agli occhi l’ingiustizia del modo in cui il femminile veniva sistematicamente escluso, osservavo le disparità di carico di lavoro nelle famiglie e altre situazioni di squilibrio. Durante l’adolescenza ho avuto la fortuna di incontrare gruppi femministi, frequentando anche gruppi non – misti. Questo mi ha permesso di sentirmi più forte e capace di argomentare in pubblico e di difendermi dal pregiudizio sulle capacità femminili ancora troppo diffuso. Essendo io figlia di una coppia mista italo-palestinese questo “allenamento” mi ha permesso di rispondere con molta consapevolezza alle discriminazioni e al bullismo che talvolta si manifestava a scuola. Successivamente ho fatto volontariato in gruppi per la tutela dei diritti delle donne e ho insegnato italiano a gruppi di donne migranti.
Come si è legata la tua formazione al tuo lavoro?
Il mio percorso è stato coerente ma non lineare. Approdata all’università, ho deciso di esplorare la letteratura femminista in relazione ai classici del pensiero maschile (spesso purtroppo anche maschilista..) occidentale. Ho fondato un gruppo studentesco di autoformazione sui temi degli studi di genere e degli studi postcoloniali. Mi sono confrontata con capisaldi del pensiero femminile come De Beauvoir, Lonzi, Crenshaw, Ong, Butler, Arendt, Weil, scoprendo una storia “silenziata” delle donne. Mi sono poi trovata ad approfondire le culture femminili e minoritarie all’interno del percorso in studi di genere all’Università di Parigi. Nonostante abbia fatto diversi lavori soprattutto mentre studiavo e mi mantenevo all’estero, sono felice di poter fare una professione coerente col mio percorso e di essere approdata ad un lavoro che mi somiglia.