“Alimurgia” è un vecchio termine che indica un’attività, tutt’ora svolta da poche persone delle nostre campagne abituate da sempre a trovare nella flora spontanea “qualche cosa da mangiare”, e riscoperta anche dalle nuove generazioni come “un modo nuovo per ritrovare un contatto vero con la natura”.
Dal latino alimenta urgentia cui si è aggiunto in seguito il prefisso “fito” dal greco phitos, questa parola significa “pianta”, per designare un’alimentazione a base di vegetali che fu coniata da G. Targioni Tozzetti nel 1767, e identifica tutto ciò che è commestibile della flora spontanea.
Le “piante alimurgiche” sono piante erbacee o alberi spontanei, da cui vengono raccolte parti come foglie, germogli, fiori e frutti da consumare come alimento, se raccolti a un appropriato stadio del ciclo vegetativo della pianta. La conoscenza delle erbe sia a scopo alimentare che a fini terapeutici è sempre stata fondamentale per l’uomo, tanto che le persone che ne avevano una conoscenza più approfondita (e spesso erano donne) raggiungevano posizioni di grande prestigio in seno alla società.
Fino al XIX secolo la conoscenza delle erbe usate a scopo alimentare e fitoterapico era estremamente diffusa tra le classi popolari, soprattutto in ambiente rurale. La rivoluzione industriale e la conseguente urbanizzazione hanno determinato il declino della civiltà rurale e con essa purtroppo anche la per dita di un sapere antico tramandato da madre in figlia.
Quando passeggiamo per prati o boschi, in quasi tutte le stagioni dell’anno, possiamo sperimentarci nella raccolta della flora spontanea edibile (commestibile) che la natura ci mette a disposizione, creando con la natura un nostro speciale rapporto nel quale alcune erbe che solitamente definiamo “erbacce” infestanti, diventano fonte di nutrimento. Qualcosa di buono e nutriente che passa direttamente dalla terra alle nostre mani fino al piatto. Iniziamo così ad osservare l’ambiente circostante con occhi diversi a guardare piante e fiori, soffermandoci con attenzione nell’osservazione di una foglia o di una bacca per tentarne il riconoscimento.
E così camminando in questi primi giorni di sole nei prati possiamo, per esempio, vedere violette e primule. Siamo abituati ad osservare il bel colore dei loro fiori, ma possono darci molto di più. Le giovani foglie di primula sono utilizzabili per una misticanza fresca oppure cotte per una minestra. Mescolate ad altre erbe, possiamo utilizzarle per fare una frittata primaverile. Con foglie e fiori di primula seccati prepariamo una gradevole tisana calmante. Ancora, con i fiori gialli possiamo aromatizzare un aceto bianco.
La raccolta delle foglie di primule, come di tutte le altre piante, va effettuata con l’attenzione che abbiamo il dovere di dare a tutto ciò che la natura ci offre: raccogliamo solo poche foglie e fiori da ogni singola pianta, non strappiamola dal terreno, dandole così la possibilità di poter rinascere nella primavera seguente. Altra raccomandazione per la raccolta di qualsiasi pianta spontanea è quella di prestare attenzione che non ci siano nelle vicinanze strade o zone inquinate.
Un altra pianta che possiamo trovare in questi giorni nei prati è l’erba cipollina, usata quasi esclusivamente fresca, può sostituire aglio o cipolla in frittate, insalate, per preparare un burro mantecato, in minestre o zuppe, dato che il suo aroma è molto delicato.
La pratolina invece è un ottimo ricostituente ed aiuta a purificare il fegato. L’infuso dei suoi fiori ha un effetto rilassante simile a quello della camomilla.
Tra pochi mesi, appena la natura avrà preso pieno possesso, con i suoi profumi e colori, dei nostri prati e boschi, ciò che ci offrirà per la nostra cucina e per il nostro benessere sarà molto. Foglie di ortiche per risotti, frittate o minestre.
Foglie e fiori di malva per preparare zuppe e risotti o da consumare anche crudi. Ottimo sarebbe pranzare con un tè di malva!
E ancora il buon enrico o spinacio selvatico, che per via dell’ampia diffusione può essere raccolto senza problema dalla primavera all’autunno.
Il farinaccio, che contiene più ferro, proteine e vitamine B degli spinaci. Le sue foglie sono molto buone in insalata.
E che dire del tarassaco ottimo depurativo primaverile degli organi.
La portulaca, pianta interamente commestibile, cresce abbondantemente ovunque: se mangiata in insalata apporta vitamina C, è depurativa, diuretica, un’ottima fonte di Omega3 e aiuta il controllo dei livelli di colesterolo nel sangue.
La salvia dei prati che presenta parecchie proprietà terapeutiche tra le quali la più importante è quella digestiva.
Potremmo andare avanti con un lungo elenco di piante che siamo abituati a vedere e non considerare valide per la nostra alimentazione, per la nostra salute e per il nostro benessere, ma la cosa sulla quale vale forse la pesa soffermarsi è il perché ci siamo allontanati così tanto dalle nostre origini. La natura ci offre, stagione dopo stagione, con generosità i suoi fiori, frutti, erbe e piante, tutto ciò di cui il nostro organismo ha bisogno per nutrirsi, curare le malattie e preparare prodotti naturali per l’igiene personale, dandoci la possibilità di raccogliere tutto direttamente nei prati.
Elementi freschi, non trattati chimicamente, non manipolati, non raccolti prima della giusta maturazione, non con lunghi passaggi in celle frigorifere. Forse potremmo provare a recuperare questa antica pratica, iniziando ad osservare la natura che ci circonda come una nostra alleata in grado di sostenerci. L’emozione di camminare in un prato e fermarsi a raccogliere qualche erba, bacca o fiore da portare a casa con sé per poi cucinarla o trasformarla in un unguento merita il provare a riconoscere queste “erbacce” abitanti del nostro giardino, entità viventi che condividono con noi la vita sul pianeta.
I bellissimi fiori di violetta possono essere usati, per la preparazione di un gelato artigianale: mettere in una ciotola 15 grammi di violette e 4\5 foglioline tenere tagliate a listarelle, versarci sopra 150 grammi di acqua bollente e lasciare a macerare per un ora, poi colare e strizzare. Montare 200 grammi di panna fresca, sbattere due tuorli d’uovo, 70 grammi di zucchero e montare a neve i due albumi. Stemperare la panna con l’infuso di violette ed aggiungere prima i tuorli e poi gli albumi mescolando delicatamente, mettere in coppette e riporre in freezer per due ore. Decorare con fiorellini freschi di violetta.
Articoli Correlati